Questo articolo nasce dalla lettura di qualche (bell’) anno addietro del libro “La consulenza di processo. Come costruire le relazioni d’aiuto e promuovere lo sviluppo organizzativo“, di Edgar H. Schein – Cortina Raffaello (2001), e dall’esperienza maturata in 15 anni come consulente e formatore.
Comfort zone
Prima di presentare la metodologia proposta da Schein, ritengo utile introdurre il concetto di zona di comfort, ovvero la condizione in cui ci si sente al sicuro o a proprio agio. Questa situazione è sicuramente piacevole e ricercata (nessuno ambisce a sentirsi a disagio o peggio in pericolo), ma nel lavoro è il principale freno al cambiamento.
Se ci dà sicurezza svolgere le attività in uno modo specifico, in determinati luoghi e con certe persone, tendiamo a perseguire tali abitudini, osteggiando così il cambiamento.
Non sto trattando il solo caso in cui noi vogliamo portare il cambiamento, ma anche e soprattutto quando il cambiamento riguarda noi stessi.
“Tutti pensano a cambiare l’umanità, ma nessuno pensa a cambiare sé stesso”
Lev Tolstoj
Il cambiamento ha sempre bisogno di un passaggio da una situazione pregressa ad una nuova e più la precedente è consolidata, più difficile sarà abbandonarla.
Non uscire dalla zona di comfort significa evitare un sano conflitto tra diverse proposte e negare la pluralità delle idee, che indubbiamente possono portare al miglioramento.
Ma cambiare non sempre significa migliorare, quindi il cambiamento va fatto con metodo ed ecco cosa propone Schein con il suo Ciclo O.R.G.I.
Il Ciclo O.R.G.I.
Esso si applica ai processi consulenziali, ovvero quando siamo coinvolti nell’aiutare a raggiungere obiettivi o a risolvere problemi. Per farlo dobbiamo considerare molteplici aspetti che potremmo raggruppare in due categorie: razionali ed emozionali.
Così Schein descrive il ciclo nel proprio libro:
Vediamo questi passaggi per punti con alcuni esempi.
Osservazione
Partiamo da qui, dalla nostra “registrazione” di ciò che avviene nell’ambiente in cui ci troviamo (frasi, toni di voce, linguaggio del corpo…) e quando lo facciamo siamo selettivi, per fortuna o purtroppo, ma lo siamo. Ovvero prestiamo maggiore attenzione a quello che “ci interessa/vogliamo”.
L’esperienza e la conoscenza del settore è fondamentale, ma deve essere ben gestita per evitare di attivare “filtri inibitori” alla corretta comprensione delle possibili alternative.
L’osservazione efficace parte dall’assenza di giudizi a priori (es: lui sbaglia…), o da domande allusorie (es: ma tu con questo vuoi dire che…), l’obiettivo è capire se quanto portato può generare valore.
Tempo addietro seguii un’azienda alla ricerca di nuove strategie di vendita su di un cliente target individuato. All’incontro partecipavano i commerciali, col direttore vendite e il responsabile tecnico dell’azienda. La strategia si stava indirizzando su di una metodologia di creazione di lead e prospect già consolidata, cercando di efficientare al massimo tale processo. Su questo il direttore vendite era (ed è) estremamente capace e con una forte esperienza nel settore. Il mio intervento li aiutò a cercare nuovi canali che non consideravano, per comprendere se realmente non erano valutati perché non efficaci o solo per abitudine. Uno di questi si rivelò interessante e fu approfondito (grazie alle competenze dell’area commerciale), creando nuovi ricavi, ma soprattutto un nuovo approccio alla strategia basata sia sulla focalizzazione, che sull’allargamento degli orizzonti.
Come ci riuscii? Ponendo domande.
Sforziamoci di fare domande, non vi deve essere alcun tentativo di interpretare o attribuire intenzioni altrui, ma solo approfondire
Dobbiamo cercare di “annullare” il vissuto su esperienze analoghe che potrebbero distorcere le osservazioni ed allargare lo spettro, per poi poter focalizzare meglio su come creare valore (cosa che vedremo nei punti successivi).
Reazione
Noi tutti abbiamo delle reazioni rispetto a quello che osserviamo e sappiamo che non è possibile controllare o gestire quelle emozioni di cui non siamo consapevoli.
Nei problemi spesso la soluzione ci si presenta grazie alla capacità di sospendere i giudizi e domandare, se impariamo a riconoscere i nostri sentimenti e la reazione ad essi, allora abbiamo la possibilità di decidere, se cedere o meno a tali sentimenti.
Ciò non significa diventare “asettici”, perché l’empatia è fondamentale nelle relazioni, ma bensì capire da cosa sono suscitate le nostre emozioni e utilizzarle per caratterizzarsi come individuo e al tempo stesso agevolare il confronto con altre persone (e le loro emozioni).
In un corso di formazione che tenni anni addietro per un’agenzia del lavoro, mi trovai un partecipante estremamente incline alla polemica e con toni spesso aggressivi. Indubbiamente si sentiva “sprecato” a seguire quel corso, probabilmente imposto, con altre persone che non riteneva al suo pari e probabilmente neanche il docente, ovvero il sottoscritto. Nel corso di un’esercitazione gli chiesi d’assumere il ruolo di leader perché mi serviva la sua esperienza per agevolare la partecipazione di tutti i componenti, gli spiegai che secondo me alcuni dei presenti erano poco inclini alla condivisione delle proprie idee. Lui accettò di buon grado e cercò di far partecipare tutti ai lavori, ponendosi spesso nel ruolo di moderatore tra le diverse idee. Il suo atteggiamento nel proseguo del corso cambiò, divenne più partecipativo e attento alle dinamiche dell’intera aula.
Come ci riuscii? Facendogli osservare “da fuori” le reazioni di chi si presentava oppositivo.
Siamo così abituati a dare per scontate certe nostre sensazioni che in effetti le ignoriamo, ma non gli altri
Giudizio
La capacità di poter analizzare prima di agire (razionalità) è ciò che rende gli esseri umani gli unici animali capaci di conseguire obiettivi difficili ed azioni che si possono protrarre negli anni successivi. Ma tutte le analisi e i giudizi che ne conseguono valgono solo per quanto sono veri i dati su cui sono basati. Se noi fraintendiamo, o sei i nostri sentimenti distorcono i dati che usiamo, allora le nostre analisi e i nostri giudizi saranno viziati.
Quando iniziai ad occuparmi della certificazione degli edifici in legno ARCA si ragionava spesso con imprenditori ed altri decision maker sulla concorrenza straniera. Si riteneva che avrebbe in poco tempo occupato il mercato delle case in legno in Italia. Questa analisi era basata principalmente su due elementi:
- La dimensione dei competitors stranieri (mediamente 10 volte le aziende locali) e della conseguente struttura operativa (marketing, reti vendite…).
- Il prezzo conveniente nell’acquistare “case a catalogo” proposte da tali competitors.
Sulla base di questi dati ne conseguiva immediatamente l’impossibilità per le aziende italiane, di piccole – medie dimensioni, di inserirsi in questo mercato. In realtà scoprimmo che, per le case, l’acquirente italiano vuole qualcosa di personale, di suo. Questo ha generato l’attuale modello di mercato delle case in legno nel nostro paese. Il primo giudizio formulato non era corretto, ma non per l’analisi svolta, bensì per l’assenza di un elemento fondamentale richiesto dal mercato: la personalizzazione e identità.
Come ci riuscii? Approfondendo e ricercando tutti i dati da analizzare.
Noi tutti sappiamo che il miglior metodo o programma di calcolo darà risultati errati se inseriamo dati inesatti
Intervento
Arriva il momento in cui dobbiamo portare la nostra soluzione, o quantomeno il nostro punto di vista in virtù del fatto che siamo stati coinvolti. Il problema si presenta quando il nostro giudizio è dato sotto l’impulso emotivo e non ne siamo consapevoli.
Un esempio classico è quello in cui qualcuno mi attacca e io reagisco contrattaccando istintivamente. Ma il punto è “mi sta attaccando veramente, o io mi sento attaccato perché non mi trovo a mio agio o sta “demolendo” la mia zona di comfort?“. Se avessi frainteso l’altra persona, cioè non mi stava affatto attaccando, allora il mio contrattacco sarebbe preso come un’aggressione.
Spesso diciamo che qualcuno ha agito “emotivamente”, anziché razionalmente, quando intendiamo che la persona ha agito in modo inopportuno rispetto alla situazione, ovvero non abbiamo visto niente che potesse giustificare un tale comportamento. Questa condotta non è dovuta all’irrazionalità dell’analisi, ma all’osservazione iniziale erronea.
Durante un corso presso un’azienda, con l’obiettivo di illustrare la nuova metodologia di gestione delle commesse, un dipendente presente, con molta esperienza e da oltre 15 anni in azienda, mal digeriva il cambiamento. Dopo poco l’inizio sbottò con “non si capisce niente… così si fa solo confusione!”. Questo intervento fece calare un imbarazzante silenzio in aula. Il mio primo impulso fu quello di rispondere a tono, ma attesi e gli domandai cosa non era chiaro e cosa non funzionava. Mi annotai le risposte, molto sensate in effetti, queste furono la base per l’esercitazione che seguì di li a poco. Grazie a questo metodo riuscimmo a trovare un punto di partenza per applicare tale metodologia in azienda e portare il cambiamento.
Come ci riuscii? Comprendendo quali fossero realmente le ragioni del malcontento prima di intervenire.
I nostri interventi devono portare valore, non difendere lo status quo
Come costruire interventi efficaci?
Come già ripetuto più volte sopra ponendo: domande, domande e domande. Tutte aperte e con l’obiettivo di chiarire il punto di vista esposto e comprendere se porta valore o meno.
Ecco alcuni suggerimenti utili:
- Non aspettiamoci le soluzioni sempre dalle stesse persone (es: manager), apriamoci ad altri punti di vista.
- Non preoccupiamoci troppi di difenderci di fronte agli altri, piuttosto esploriamo.
- Non cerchiamo di risolvere tutti i problemi con metodologie già applicate precedentemente e a noi ben note (promuoviamo lo spirito di ricerca).
- Comprendiamo quali sono le nostre predisposizioni emotive ai temi trattati ed agli stakeholder coinvolti (sospendiamo i giudizi fino alla fine dell’osservazione).
- Verifichiamo ciò che vogliamo fare e i dati su cui sono basate le nostre decisioni.
- Le pause di silenzio aiutano a riprendere il filo verso gli obiettivi.
Serve aiuto?
Potrebbe essere molto più efficace (in termini di qualità delle soluzioni) ed efficiente (minor time to market) avvalersi di un aiuto esterno.
ARM Process affianca organizzazioni pubbliche e private dal 2005 nel creare innovazione di valore.