Il termine private label indica l’apposizione di un marchio privato (proprio) su un prodotto fabbricato da altri.

Le ragioni per avvalersi di tale opzione sono molteplici e tutte legate al posizionamento sul mercato che si vuole ottenere in virtù di:

  1. Investimenti nello sviluppo di mercato di un prodotto commercializzato con il proprio marchio (ma non fabbricato direttamente), mantenendo così per sé il valore dato dal posizionamento dello stesso.
  2. Mostrarsi con una gamma completa di prodotti (seppur non si fabbrichino tutti), fidelizzando i propri clienti grazie alla capacità di proporre le soluzioni necessarie allo svolgimento del loro lavoro (presentarsi così come il “partner unico“).
  3. Evitare che il cliente veda il nome del fabbricante del prodotto e possa rivolgersi direttamente a lui (vanificando così gli investimenti fatti).

Tale prassi è largamente diffusa in tutti i settori (soprattutto alimentare (*), ma anche chimico, edile…). Ci potremmo stupire nello scoprire quanti prodotti sono realmente fabbricati da chi ritenevamo essere il produttore.

Una ricerca ci mostra, infatti, come i prodotti a private label siano ormai prossimi al 20% di incidenza sul fatturato (erano al 14,2% nel 2008) e sviluppino un giro d’affari complessivo di circa 10,3 miliardi di €., cifra che si prevede raggiungerà gli 11 miliardi di €. entro il 2020 vista la costante crescita registrata.

(*) nel settore alimentare il private label è molto diffuso, anche per ridurre i costi legati al “branding“, ovvero la pubblicità di determinate marche di prodotti.

Il private label comporta dei rischi?

La risposta è ovviamente affermativa, in quanto ogni iniziativa imprenditoriale che generi valore comporta inevitabilmente dei rischi (ovvero delle incertezze). I rischi positivi (opportunità) sono i 3 sopra elencati. Quelli negativi (minacce) sono legati alla responsabilità di prodotto che ci si assume con il “private labelling“.

La Comunicazione della Commissione — La guida blu all’attuazione della normativa UE sui prodotti 2022, ci supporta nella definizione di alcuni elementi. In primis chiarendo che non è previsto l’obbligo esplicito di far precedere l’indirizzo dalle parole «Manufactured by», «Imported by», «Represented by» o «Fulfilled by» (non è previsto l‘obbligo di tradurre in tutte le lingue le parole virgolettate, tali termini inglesi sono considerati facilmente comprensibili in tutta l’UE).

Occorre tuttavia evitare di indurre in errore l’utilizzatore finale e le autorità di vigilanza del mercato in merito al luogo di fabbricazione e all’indirizzo di ciascun operatore economico. In assenza di queste indicazioni, sono le autorità di vigilanza del mercato a decidere qual è il ruolo di ciascun operatore economico. Spetta poi all’operatore economico dimostrare di svolgere un ruolo diverso.

Nel presente articolo trattiamo concretamente il caso dei rischi per i prodotti da costruzione

Il Regolamento UE 305/2011 dei prodotti da costruzione (Construction Products Regulation – CPR) definisce il fabbricante come:

qualsiasi persona fisica o giuridica che fabbrichi un prodotto da costruzione o che faccia progettare o fabbricare tale prodotto e lo commercializzi con il suo nome o con il suo marchio.

Mentre il distributore come:

qualsiasi persona fisica o giuridica nella ca­tena di fornitura, diversa dal fabbricante o dall’importatore, che metta un prodotto da costruzione a disposizione sul mercato

Il CPR specifica chiaramente tutte le responsabilità del fabbricante e del distributore, rispettivamente negli articoli 11 e 14.

Si conclude il presente paragrafo specificando che se un prodotto non ricade in “specifiche disposizioni contenute in direttive o in altre disposizioni comunitarie e nelle relative norme nazionali di recepimento” (nel nostro specifico caso la Marcatura CE dei prodotti da costruzione) ed è destinato al consumatore (1), si applica il codice del consumo. In particolare si consiglia la lettura del CAPO II “Indicazione dei prodotti“.

(1) consumatore o utente: la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta (Art.3, comma 1, lettera a) del Decreto Legislativo 6 settembre 2005, n. 206 e successive modificazioni – Codice del Consumo)

A questo punto sorgono sempre spontaneamente le seguenti domande:

  • Quando l’apposizione di una private label ci fa diventare fabbricanti? 
  • Possiamo rimanere distributori “nascondendo” o “limitando” la presenza dei riferimenti del fabbricante?
  • Come fare per salvare “capra e cavoli” (ovvero mi presento come fabbricante, ma ho le responsabilità del distributore)?

La risposta a queste domande non è banale, sicuramente ci si pone sul lato della ragione non apponendo alcuna private label o se sulla stessa si specificano bene i nomi ed i ruoli di fabbricante e distributore. Un’analisi approfondita del caso specifico si rende sempre necessaria se si vuole comprendere come agire in funzione delle effettive minacce associate allo sfruttamento delle opportunità legate al private labelling.

Sui compiti e responsabilità legate al ruolo assunto nella catena di fornitura (fornitore vs. distributore) il CPR è molto chiaro (si vedano rispettivamente negli articoli 11 e 14), così come ribadito in questa posizione espressa sul sito dell’Unione Europea:

Retailers (the CPR calls them distributors) shall ensure that the product, where required, bears the CE marking and is accompanied by a copy of the declaration of performance and, where applicable, safety data sheets (see Art. 6(5) of the CPR)), and by instructions and safety information, in a language determined by the Member State where the product is made available (see >list of languages required by Member States).

In tutti i casi, sia che l’azienda decida di presentarsi come fabbricante o come distributore, è sempre fondamentale stabilire degli accordi chiari con il fornitore dei prodotti / semilavorati / componenti / materie prime.

Ecco qualche suggerimento pratico per gestire il private label

  1. Qualificare il fornitore in base alla sua capacità di fornire prodotti con Marcatura CE accompagnatoria sul prodotto, istruzioni allegate al prodotto (ove richieste e possibile) e DoP disponibile da scaricare sul suo sito web, per sollevare il distributore dall’onere e dalla responsabilità di fornire tali documenti ai propri clienti.
  2. Richiedere un aggiornamento continuo delle prestazioni dei prodotti e delle informazioni accompagnatorie i prodotti, soprattutto anticipandone le eventuali modifiche per poterle gestire nei propri documenti commerciali ed informativi.
  3. Richiedere assistenza tecnica al fornitore per quesiti tecnici che emergessero dai propri clienti, in primis attraverso schede tecniche con esempi chiari e concreti di situazioni normalmente attese (non eccessivamente teoriche).

Concludendo è possibile dire che il private label rimane una soluzione strategica molto importante per le aziende (come dimostrato dalla sua larghissima diffusione in tutti i settori, non solo quello dei prodotti da costruzione), ma non va percorsa con leggerezza, in quanto gli effetti potrebbero essere molto impattanti per le responsabilità delle società e degli enti a cui potrebbero trovarsi a rispondere.

Quanto sopra riportato è fondamentale per gestire il rischio imprenditoriale in maniera conscia e oculata, senza trovarsi nella situazione di dover rispondere di azioni effettuate, seppur in buonafede, per la non consapevolezza e conoscenza delle stesse.

Le informazioni sono state utili?

ARM Process ha oltre 12 anni di esperienza nella gestione progetti di due diligence per i prodotti, dalla selezione dei fornitori/prodotti, alla gestione delle informazioni e degli accordi tra le parti, grazie anche al supporto di primari studi legali.

Se necessitaste di approfondimenti su casi specifici non esitate a contattarci.