Innovare oggi è fondamentale! … ma come? 

Questa è la domanda che tutti ci poniamo.

Tempo addietro lessi un’interessante un’analisi degli investimenti in ricerca e sviluppo in Italia paragonati a quella di altri paesi, dove il benchmark considerava anche le dimensioni industriali della nostra economia rispetto alle altre, questo aspetto è ben descritto ne “Il Calabrone-Italia” di Giacomo Becattini, citando la presentazione del libro:

“In base alle leggi della fisica il calabrone non dovrebbe volare: le sue ali, infatti, sono troppo piccole in rapporto al suo peso corporeo. L’insetto nero, invece, riesce a farlo. Con buona pace di fisici ed entomologi. Allo stesso modo, in base alle leggi dell’economia, l’Italia non dovrebbe figurare fra i paesi più industrializzati del mondo non disponendo di materie prime e di industrie di grandi dimensioni. E invece fra i paesi più industrializzati l’Italia ci figura eccome. Riuscendo, anzi, a volare con successo nel cielo dell’economia mondiale. A cosa è dovuto questo prodigio? Cosa c’è alla base dell’irresistibile sviluppo del ‘calabrone Italia’? Giacomo Becattini, uno dei nostri economisti più autorevoli, non ha dubbi: la vitalità dei nostri distretti industriali e la loro capacità di innovazione”

Gestire l’innovazione

Perché innovazione è un processo che va gestito, con una visione precisa dei risultati attesi.

Per ottenere innovazioni di valore, ovvero innovazioni che generino successi di business e non siano solo azioni pionieristiche, dobbiamo mettere a fattor comune tutte le risorse che portano valore all’azienda, non solo interne, ma anche esterne!

La vera “Open Innovation” è un’innovazione collaborativa che abbraccia tutte le risorse aziendali impegnate nel creare valore assieme ai fornitori, ai clienti e utilizzatori, agli enti di ricerca e a qualsiasi altro stakeholder che condivide i nostri obiettivi.

Questa è una necessità, in quanto il World Economic Forum, nel suo “Global Competitiveness Report 2016–2017“, classifica l’Italia nella voce “capacità di innovazione” al 33 posto:

L’innovazione vincente è collaborativa

In questa epoca di accelerazioni sociali e tecnologiche il punto di forza di un’azienda è la comprensione e la capacità di interpretazione di ciò che accade nel proprio contesto (soprattutto esterno, ma anche interno). Sono poche le realtà aziendali in grado di condizionare il mercato in cui operano o di creare nuovi mercati in cui competere (oceani blu). Ciò che la maggior parte delle aziende deve fare è comprendere come competere adattando le proprie proposte al contesto in cui opera.

L’errore più grande che può fare un’organizzazione è chiudere le porte a questo flusso di informazioni e di collaborazioni, perché corre il rischio di auto-escludersi dai processi di innovazione… e allora si che il peso del proprio corpo renderà difficile il volo. Quello che spesso accade, ad esempio, è che il processo di “fail fast” (ovvero se il progetto non funziona accorgersene presto per bloccarlo e liberare le risorse), se gestito solo internamente, non funziona a causa di posizioni ostative delle risorse interne arroccate dalla paura di perdita (presunta o effettiva che sia) di ruolo e di riconoscimento personale.

Questa minaccia può essere invece ben gestita bilanciando l’approccio “dentro-fuori” all’innovazione, dove l’organizzazione deve trovare i perché delle scelte e delle direzioni intraprese, investendo soprattutto quando le cose vanno bene, in modo da poter mantenere le posizioni, volumi e margini anche quando i trend cambieranno.

L’open innovation si traduce nell’attivare e gestire linee esterne per l’innovazione di valore, in modo da non distrarsi dal core business, innovare velocemente e con maggior efficacia ed efficienza

Spostarsi dal paradigma “conoscenza è potere” (e quindi tengo il potere per me e non lo divulgo) a “condividere la conoscenza è potere” per creare una cultura di condivisione per lo sviluppo sostenibile delle organizzazioni.

Le organizzazione devono avere degli obiettivi nell’innovazione tangibili legati al proprio business

Stabilire gli obiettivi

Necessitiamo sempre di KPI (Key Performance Indicator – indicatori di performance chiave) che ci dicono come stiamo realmente andando rispetto ai nostri obiettivi di business.

Target come n° di brevetti o n° di pubblicazioni non sono direttamente mirati al business.

Servono target che guidino lo sviluppo del business, come: n°/guadagno da nuovi prodotti/servizi di successo nei diversi orizzonti temporali, il ritegno dei clienti, l’ampliamento del valore offerto ai cliente…

Con obiettivi di business coerenti e tangibili apriamoci all’innovazione collaborativa supportati da partner affidabili

L’obiettivo è generare valore, non vincere la gara di chi ha prodotto il maggior numero di innovazioni. Per questa ragione la scelta dei target è necessaria per integrare le nostre innovazioni, dobbiamo essere focalizzati sull’utilità e servizi offerti ai nostri clienti e questo coinvolge inevitabilmente la capacità dell’organizzazione di saper rispondere coerentemente ed in modo efficace ed efficiente a tali esigenze.

Stiamo parlando di comunicazione, non di controllo (con i KPI)

Ricordiamoci sempre che l’innovazione vincente è quella door-to-door dell’azienda, non vediamola slegata dal resto (mancanza di integrazione e comunicazione). Dobbiamo immaginarci un filo rosso che passa per i reparti e collega le azioni dentro-fuori.

Un esempio?

Il lavoro di gruppo è oggi fondamentale (come strumento e non come fine dell’innovazione), non possiamo sperare di essere competitivi (nel medio e lungo periodo) senza la capacità di innovare in modo collaborativo attraverso una rete. La cosiddetta innovazione in “silos” appartiene a chi riteneva (o ritiene ancora) che la conoscenza sia potere. Se la conoscenza è potere questa non deve essere diffusa, bensì difesa strenuamente come elemento differenziale per competere e vincere.

Questo porta ad una situazione in cui la diffusione di nuove proposte di valore è di fatto impedita, perché se la conoscenza è potere l’apprendimento è difficoltoso e talvolta bloccato dal fatto stesso che apprendere cose nuove implica “lasciare” quelle precedenti, che ho sempre custodito con cura e attenzione, perché allora proprio io dovrei disfarmene?

Oggi necessitiamo di lavorare in network in grado di generare valore in modo continuativo, appartenendo anche a più di uno contemporaneamente in modo trasparente, condividendo le informazioni che possano far crescere l’interesse ed il commitment verso i nostri obiettivi comuni. L’esempio che mi piace maggiormente è quello di Elon Musk quando ha dichiarato “Tesla will not initiate patent lawsuits against anyone who, in good faith, wants to use our technology” di fatto aprendo i propri brevetti. Scelta estrema, ma che sta aiutando Tesla nell’ottenere la transizione verso la mobilità elettrica e sostenibile. Se avesse applicato il modello “conoscenza è potere” la transizione che necessita e la spinta data da altri competitors sulle tecnologie (in primis l’accumulo) non sarebbe così viva ed il mercato convenzionale (forte e consolidato sotto tutti gli aspetti: strutturale, culturale, finanziario…) avrebbe gioco facile nella partita sulla mobilità. D’altra parte Tesla non perseguirà chi sia in “buona fede“, ovvero che utilizzerà tali brevetti secondo gli obiettivi condivisi dall’organizzazione. Quindi la scelta è stata ben ponderata e non avventata.

Perché la Open Innovation non significa diffondere il proprio know how core, ma lavorare per creare un ambiente in cui ci siano opportunità, altrimenti le chiusure prevarranno e non ne beneficerà nessuno, anzi il danno sarà per tutti.

Come fare?

ARM Process ha nella propria vision questo obiettivo e da anni opera a supporto di tutte le organizzazioni che intendono innovare con valore, ricercando e gestendo le soluzioni migliori per la specifica esigenza, sia per risolvere problemi che per creare nuove offerte.

Non esitare a contattarci per qualsiasi domanda o per un confronto.