Il titolo può suonare decisamente strano, soprattutto se detto da un consulente, ma in un momento di cambiamento così dirompente è necessario ammettere che anche l’attività consulenziale non è più quella di prima.

I clienti non scorgono il valore portato dagli interventi consulenziali quando sono svolti, con le massime competenze, ma in maniera asettica rispetto alle dinamiche aziendali del cliente

Per capire come mai si è creata questa distanza dobbiamo ammettere che gli aspetti da trattare sono molteplici.

In primis il ruolo del consulente. Come tale non è un decision maker dell’organizzazione, non può disporre delle risorse dell’organizzazione e in alcuni casi è introdotto in un sistema di valori e norme comportamentali nelle quale molti chiedono il cambiamento, ma nessuno lo vuole per se. In sostanza siamo nella situazione nella quale la migliore delle idee, assumendo che esista, se non è accettata dall’organizzazione non potrà mai diventare un’innovazione di valore.

Quindi c’è un fallimento

Normalmente la domanda che sorge spontanea nel cliente è “perché devo pagare il consulente a prescindere dal risultato” e la risposta immediata è “il consulente non ha il controllo sull’attuazione, fornisce specifiche expertise nell’interesse del cliente e quindi può essere responsabile solo di queste ultime, non dell’uso (o non uso) fatto“. Già, perché capita che l’organizzazione decida di non attuare la strategia formulata, magari senza comunicarlo, semplicemente procrastinando l’inizio dell’esecuzione, rendendo vano il lavoro svolto.

Le posizioni sono chiare, ma questo genera malcontento e frustrazione nel cliente, che, osservando i soli risultati ottenuti dalla propria organizzazione, sempre più si domanda se può arrangiarsi da solo e talvolta si risponde affermativamente.

Da questo problema può nascere l’opportunità di creare un nuovo modello di business che generi valore per le parti interessate

Ma come fare?

Sono sempre più convinto che la soluzione sia da ricercarsi in un approccio empatico e al tempo stesso analitico alla consulenza. Lavorare sin dall’inizio per comprendere bene le reali esigenze, senza facili scorciatoie. Co-costruire con il cliente l’intera visione dei risultati, anche di alto livello, ma chiara. Ed iniziare ad intervenire in modo prioritario con piccoli progetti nei quali il ruolo del consulente sia definito, auspicabilmente come Project Manager, con tempi di attuazione ben scadenzati, risorse assegnate e budget approvati.

pro di questo approccio sono:

  • la condivisione iniziale del contesto e della visione finale auspicata;
  • l’implementazione graduale della strategia con progetti gestibili a breve termine e la condivisione continua e formale del percorso intrapreso assieme al cliente;
  • la condivisione del rischio, che il cliente apprezza molto, data da interventi incrementali con risultati a breve termine, senza richiedere sin da subito impegni formali in progetti dal futuro temporale oltre la normale gestione operativa del cliente. Dove il consulente da la propria disponibilità sin dall’inizio al proseguo.

Il contro è strettamente legato all’ultimo pro, ovvero l’incertezza del proseguo del lavoro alla fine di ogni singolo progetto.

Così il consulente dà senso al termine oggi spesso abusato di “partner“, si immedesima nelle effettive esigenze del cliente, con la giusta dose di empatia e grazie all’analisi in grado di generare valore. Perché…

…non è possibile rispondere alle esigenze attuali con i modelli passati

Oggi chi si pone a supporto delle organizzazioni deve essere un elemento abilitante del suo successo!