I dati del Ministero dello Sviluppo Economico ci confermano ancora che “Il nostro sistema imprenditoriale è costituito per il 99.9% di piccole e medie imprese (di queste il 84.7% nella l’asse tra i 1 e 9 addetti) che occupano il 81% del totale degli addetti e generano quasi il 71% del fatturato“.

In Italia manca la grande industria (per numero ed indotto), ovvero pochi grandi interlocutori capaci di catalizzare la filiera produttiva (ricerca e sviluppo, alleanze, crescita dell’indotto), nel bene e nel male.

Quindi?

Di sicuro la molteplicità dei soggetti permette di ridurre il rischio di fallimenti. D’altra parte le PMI hanno strutture che faticano a conquistare e mantenere fette interessanti di mercato.

Una possibile via sono i cluster di organizzazioni competenti ed altamente specializzate che collaborano tra loro a geometria variabile, realizzando concreti e duraturi risultati di crescita e sviluppo.

In questo disegno la pubblica amministrazione può creare un sistema abilitante (infrastrutture, enti di ricerca, distretti tecnologici, sistemi di valorizzazione) in cui le imprese valorizzano se stesse ed il cluster di appartenenza in una logica di partenariato, puntando ad allargare i confini degli interventi ed il livello di qualità offerto.

Questi obiettivi si ottengono con un committment di tutte le parti, nella consapevolezza del proprio ruolo e nel rispetto e considerazione di quello altrui, condividendo ed accettando un coordinamento extra governance di manager capaci.